Quarantena e Violenza Domestica
Aumento sostanziale dettato dall'isolamento sociale da Covid

Nella nostra cultura, la famiglia è sinonimo di sicurezza e protezione, ma per molte donne può rappresentare un luogo di paura e abuso. La violenza contro le donne è una delle forme più comuni di aggressività domestica, riconosciuta come un grave problema di salute pubblica che solleva anche importanti questioni etiche, giudiziarie e legali.
È una violenza che si annida nello squilibrio relazionale tra i sessi e nel desiderio di controllo e di possesso da parte del genere maschile su quello femminile - che attraversa tutte le culture, classi sociali, etnie, età, livelli di istruzione e di reddito.
Oltre alla violenza fisica, che non è presente in ogni relazione abusiva, gli strumenti comuni di abuso includono l'isolamento dagli amici, dalla famiglia e dal lavoro; sorveglianza costante; regole di comportamento rigorose e dettagliate; e restrizioni all'accesso a beni di prima necessità come cibo, vestiario e servizi igienici.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha sottolineato che le misure restrittive adottate per contenere e gestire l'emergenza COVID-19 (es. quarantena, isolamento sociale) possono esacerbare il rischio di violenza contro le donne.
In effetti, secondo i rapporti di oltre 142 paesi del mondo, la violenza contro le donne è cresciuta proprio come conseguenza delle misure governative utilizzate per ridurre l'impatto della pandemia COVID-19.
Con l’insorgere dell’emergenza epidemiologica da Covid 19 nei primi mesi del 2020, i media e i servizi specializzati hanno fin da subito iniziato a parlare di un probabile futuro aumento dei casi di violenza contro le donne tra le mura domestiche a causa del maggior rischio di violenza dovuto al confinamento forzato (lockdown) e alle difficoltà per le vittime conviventi con il maltrattante a denunciare e rivolgersi ai servizi di supporto. La violenza domestica già presuppone la messa in atto ad opera dell’abusante di una vera e propria strategia di controllo, che utilizza elementi strutturali a livello sociale oltre al controllo individuale per isolare le donne dalle loro reti e fonti di sostegno esterno, principalmente la famiglia di origine e gli amici. Il lockdown e la quarantena, necessari entrambi per ridurre la diffusione della pandemia, hanno di fatto contribuito ad aumentare ulteriormente l’isolamento delle donne e le loro difficoltà ad attivare reti di supporto.
L’aumento dei casi di violenza di genere nel mondo come conseguenza della pandemia è stato chiaramente indicato dall’indagine pubblicata da CEPOL nel luglio 2020 e dalle stesse Nazioni Unite che hanno definito questo fenomeno “pandemia ombra” proprio per sottolinearne l’impatto devastante.
In questo contesto, anche in Italia, l’esplosione dei casi di violenza è stato sostanziale. Se si guarda ai dati delle chiamate al numero verde nazionale antiviolenza 15223 si può, infatti, notare come dal 1° marzo al 16 Aprile 2020 ci sia stato un aumento del 73% rispetto allo stesso periodo del 2019 con un aumento delle vittime che hanno chiesto aiuto del 59% rispetto allo scorso anno (ISTAT, 2020)
L’emergenza ha nel complesso amplificato criticità in parte già esistenti e sistemiche: difficoltà di intercettazione delle donne e di attivazione dei servizi territoriali per l’emersione del bisogno, difficoltà di coordinamento tra i servizi specializzati e generali, difficoltà di reperire strutture di ospitalità, a cui si vanno ad aggiungere le difficoltà organizzative del lavoro in remoto, in primo luogo per la mancanza di dispositivi informatici sufficienti e il digital divide delle volontarie di età generalmente medio-alta che operano presso i centri antiviolenza e di molte delle donne vittime. Tuttavia, i centri in questi mesi hanno lavorato con una grande flessibilità e capacità di adattamento, riorganizzando modalità e i tempi di lavoro.
LE CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA
Gli episodi di violenza si scatenano spesso per motivi banali - a seguito di litigi che diventano sempre più frequenti e pericolosi nel tempo - solitamente seguiti da scuse e pentimento del partner. Inizia così la “luna di miele”, periodo in cui il rapporto si rinsalda.
La donna, nella speranza che “il domani” sarà diverso, si trova a minimizzare le tensioni e a nascondere, all’esterno e a sé stessa, il proprio disagio e la pericolosità della situazione, spesso attribuendosi la colpa del comportamento dell’altro.
Col susseguirsi degli episodi aumenta la svalorizzazione di sé, la sfiducia che la situazione possa cambiare e la sensazione che sia impossibile sottrarsi al potere dell’altro.
Il notevole aumento dei casi di violenza di genere osservato durante l'epidemia di COVID-19 è estremamente preoccupante, soprattutto se si considerano gli importanti danni fisici e psichici – nel breve o lungo termine – che può generare, fino a dar luogo, direttamente o indirettamente, alla morte della vittima (omicidio, suicidio, gravi patologie correlate).
A causa della violenza subita, inoltre, la donna può sperimentare una grave e pervasiva invasione del sé, che ne annienta il senso di sicurezza, e la fiducia in sé stessa e negli altri.
Violenze gravi e soprattutto ripetute, creano nella donna un sentimento di ansia intensa o di paura generalizzata. I ricordi delle violenze possono emergere in modo inaspettato, sotto forma di incubi, flashback o "interferenze" nella vita quotidiana (sindrome post-traumatica da stress).
Sovente la donna soffre di depressione o di disturbi d'ansia, problematiche nel rapporto col cibo o forme di dipendenza (più frequentemente alcool), fino al possibile esordio di sintomi psicotici. Inoltre, la violenza e lo stato di stress che accompagna la persona possono determinare una pletora di disturbi psicosomatici (come dolore pelvico cronico, disturbi del sonno, malattie gastrointestinali e cardiovascolari, lesioni fisiche)
La violenza ha poi anche un impatto economico e sociale: le donne possono infatti soffrire di isolamento, difficoltà nel mantenere o trovare lavoro, nello svolgere attività che richiedono una partecipazione regolare, e limitata capacità di prendersi cura di sé e dei propri figli.
SPEZZARE IL CICLO DELLA VIOLENZA DI GENERE
“Perché non lo lasci?”
Questa domanda spesso viene rivolta alle donne che si trovano in una situazione di maltrattamento.
La presenza di un legame affettivo e di intimità può rendere particolarmente difficile per la donna decidere di uscire dalla violenza. Esistono fattori culturali e psicologici che possono spingere la donna a giustificare l’autore delle violenze e a tollerarne gli episodi.
La decisione di interrompere il rapporto con il partner violento è spesso un processo lungo e difficoltoso, e i motivi per cui una donna può essere titubante o timorosa all’idea di troncare la relazione sono molteplici: dalla paura per la propria incolumità o di dover affrontare il maltrattatore faccia a faccia nel corso del processo, alla mancanza di sostegno esterno (familiare e da parte dei servizi istituzionali), dall’auto-biasimo a sentimenti di imbarazzo e di vergogna e il timore di non essere credute.
Può accadere, inoltre, che la donna tenti di salvare la propria relazione - per sé e per i figli - o ritenga il maltrattamento essere frutto di una patologia mentale dell’altro, quindi un problema non suo o non correggibile.
La violenza di genere non è, però, necessariamente frutto della psicopatologia del maltrattante, ma, al contrario, è legata alla quotidianità e alle dinamiche relazioni che intervengono tra uomo e donna.